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GLORIA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 ottobre 1999
 
di Sidney Lumet, con Sharon Stone, Jeremy Northam, Cathy Moriarty, George C. Scott (Stati Uniti, 1999)
 
GLORIA non fu necessariamente il più grande dei film di Cassavetes, anche se nel 1980 vinse l'oro a Venezia, e candidò Gena Rowlands all'Oscar. Ma si sa, anche il più piccolo dei Cassavetes...Un contabile della Mafia compieva uno sgarro, denunciava alcuni malfatti all'FBI e veniva immediatamente liquidato. Assieme a lui, L'intera famiglia, moglie portoricana, figliola e donna delle pulizie. Unico superstite del massacro, un ragazzino di una decina di anni, portato in salvo da una vicina di casa, Gena Rowlands. Ma Gena, a sua volta, era compromessa, essendo stata la pupa di un gangster. E la fuga con il ragazzino era resa ancora più difficile dal passato, dall'impossibilità di rivolgersi alla polizia per chiedere aiuto. Un thriller, quindi; di quelli che durano pochi giorni, talvolta poche ore. Perché a Cassavetes interessava dipingere dei personaggi, delle psicologie, il loro rapporto con l'ambiente; e tutto veniva sacrificato a questo scopo. Storie brevi, girate quasi in tempo naturale, in modo che l'attore potesse viverle il più fedelmente possibile.

E la resa degli attori di Cassavetes era proverbiale: pochi amici, addirittura parenti, che giravano per anni quasi soltanto con lui. Una macchina da presa libera, che girava attorno ai personaggi praticamente inosservata, sempre nella posizione più naturale, istintivamente logica e funzionale. Un ritmo rilassato, dei tempi lunghi, oltre il normale, quasi oltre il "cut" del regista; per permettere all'attore di svuotarsi, di dare tutto quello che si teneva dentro. Cosi nascevano interpretazioni come quella di Gena Rowlands, rimaste insuperate, vere e proprie psicologie vissute all'osso. Poi, per contenere gli attori, gli ambienti: vecchi palazzoni disfatti, testimonianze di un trascorso di fasti. I quartieri del Bronx, con la loro moltitudine anonima, il miscuglio delle razze, l'indifferenza, L'impassibilità con la quale i vicini di appartamento, i passanti, la città assisteva al dramma. Tutta l'esperienza documentaristica, e quel modo cosi tipico di Cassavetes di rinchiudere, costringere i suoi personaggi all'interno di un ambiente per scrutarli: basta poco allo spettatore del vecchio GLORIA per comprendere che la donna e il ragazzino non sarebbero mai sfuggiti alla mafia. Costretti com'erano di rifugiarsi in quegli spazi aperti, ostili delle strade di New York; in una ricerca dello spazio che traduceva il vicolo cieco, l'obbligo di ritornare fra quei contenitori (interni di taxi, atri di palazzi, ascensori, scale, scantinati, appartamenti) destinati, in apparenza, a proteggerli. Ma, in effetti, ad esporli vieppiù ad una cinepresa che non finiva di scrutarli. Visione terrificante di un mondo in disfacimento, indifferente; colto con l'arte del quotidiano, della trasformazione dello spazio in una gabbia metafisica.

Ora, il problema non è tanto quanto è scomparso di tutto ciò nel film di Lumet. Piuttosto il contrario. Quanto, per eccesso di rispetto e di ammirazione - ma per mancanza di quel coraggio di "aggiungere" di cui sopra- un cineasta autore di polizieschi abilissimi e smaliziati, a suo tempo persino autore di opere militanti ed impegnate non abbia avuto la forza di metterci di suo. Timoroso, fino all'anonimato d'immischiarsi nel mito del predecessore; rispettoso di una vicenda ricalcata a memoria, salvo per un happy-end del quale non si sentiva veramente la mancanza. Certo, capace di una confezione dignitosa e di non cadere nel tranello dell'azione ad ogni costo. Come di affidare agli splendidi quarant'anni di Sharon Stone (più che brava, anche se un tantino mimetica nel riprendere l'incedere leggendario della grande Gena) un ruolo di quelli sognati da ogni attrice.


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